Un piano delle aree per frenare le trivelle

Non vi è palmo del territorio della Repubblica che si possa ritenere al riparo dall’insediamento di nuove trivelle o di nuove grandi opere inutili, dispendiose ed impattanti. Dal 1927 ad oggi il rilascio dei permessi e delle concessioni è sempre avvenuto senza una previa pianificazione. In Italia si può cercare ed estrarre praticamente ovunque, senza che si tenga conto del fatto che esistano aree interessate da agricoltura di pregio, aree di interesse naturalistico, aree fortemente antropizzate, aree ad alto rischio sismico, e così via. Il responso delle urne del 4 Dicembre scorso è stato netto ma dall’insediamento del nuovo Esecutivo non si colgono, in riferimento alle politiche energetiche, elementi di discontinuità rispetto a quello precedente malgrado gli elettori abbiano chiaramente bocciato la proposta di riforma costituzionale, lasciando in capo alle Regioni la potestà legislativa concorrente. La reintroduzione del c.d. “Piano delle Aree”, abrogato dalla Legge di Stabilità 2016, e, quindi, la necessità di far partecipare attivamente le Regioni nella governance energetica, non è solo atto politicamente ma anche costituzionalmente dovuto. 
Le attività di ricerca e di coltivazione di gas e petrolio dovrebbero essere consentite - a chiederlo sono 148 associazioni e comitati e 135 personalità del mondo della cultura, della politica e delle scienze - solo sulla base di un piano, che tenga conto dei diversi interessi economici esistenti, che tuteli le aree territoriali più fragili del nostro Paese e che, in breve, stabilisca, una volta per tutte, dove sia possibile cercare ed estrarre e dove no.
È per ribadire e rafforzare questo concetto che si presenta questa proposta di legge che modifica l’articolo 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164.
La soluzione individuata è, quindi, quella di lasciare alla Conferenza Unificata la predisposizione di un piano delle aree in cui i territori possono decidere in merito alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e di deposito sotterraneo di gas naturale.
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FOCUS SINTETICO: IL “PIANO DELLE AREE”
di "Coordinamento NO TRIV"


A cosa serve un Piano delle Aree per le attività "petrolifere"?

Ad evitare, ad esempio, che in futuro possano essere ripensate alcune scelte che hanno risparmiato dall'assalto delle trivelle alcuni tra i luoghi più suggestivi e fragili della Penisola; ad esempio, il Golfo di Napoli, il Golfo di Salerno, l'area marina delle Isole Egadi che, secondo una delle prime bozze dello Sblocca Italia, avrebbero potuto ospitare attività estrattive.
Come già accaduto, ad esempio, per il Golfo di Taranto, in assenza di un Piano delle Aree elaborato con la partecipazione fattiva e non di facciata delle Regioni, le aree finora interdette alle attività Oil & Gas e, più complessivamente, quelle di maggior pregio paesistico, naturalistico, economico (es: aree destinate a colture di pregio) potrebbero finire un giorno, per semplice decreto, sotto le grinfie delle compagnie petrolifere.
Non si comprende poi la ragione per cui per le sole attività petrolifere nel 2015 il Governo abbia avvertito la necessità di abrogare, in perfetta solitudine, questo delicato strumento di pianificazione mentre invece, per le energie rinnovabili, esistano dal 2010 (Governo Berlusconi) Linee Guida, licenziate dal MISE di concerto con il Ministero dell'Ambiente e con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, e preventivamente discusse ed approvate dalla Conferenza Unificata, allo scopo di "facilitare un contemperamento fra le esigenze di sviluppo economico e sociale con quelle di tutela dell'ambiente e di conservazione delle risorse naturali e culturali nelle attività regionali di programmazione ed amministrative".

Quale avrebbe potuto essere l'utilità del Piano delle Aree?

Nelle intenzioni del legislatore il Piano delle Aree avrebbe dovuto funzionare da strumento di regolamentazione, programmazione e razionalizzazione delle attività estrattive nel nostro Paese. Come noto, il Piano non ha mai visto la luce e la sua stessa previsione è stata abrogata dal Parlamento in base ad un emendamento alla Legge di Stabilità 2016 presentato dal Governo.
Attraverso un processo decisionale in cui sarebbero state rese partecipi le Regioni ma in cui l'ultima parola sarebbe toccata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, all'interno delle aree teoricamente aperte alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di gas e petrolio sarebbero state individuate le aree per le quali non avrebbero potuto essere avanzate istanze di alcun genere.
La modifica normativa proposta mira a rafforzare il ruolo delle Regioni, ad estendere la previsione del Piano anche al mare, entro ed oltre il limite delle 12 miglia, e a ribadire il concetto che in assenza di Piano non può essere richiesto e rilasciato alcun titolo secondo le modalità previste dallo Sblocca Italia.

Quali risultati concreti produsse la previsione del Piano delle Aree fintanto che rimase in vigore?

Per stessa ammissione di alcuni operatori del settore, il Piano delle Aree e la connessa regolamentazione delle attività estrattive non furono mai stati presenti nell'elenco delle richieste avanzate al Governo dalle compagnie petrolifere. E infatti, benché mai varato, la sua sola previsione ha di fatto inibito la richiesta di titoli secondo le norme particolarmente favorevoli dello Sblocca Italia.
Abrogata la norma sul Piano delle Aree, superato lo “scoglio del Referendum del 17 aprile 2016 e risalito il prezzo del petrolio, la corsa alla richiesta di nuovi titoli è ricominciata in modo serrato.
A richiedere, più di due anni fa, la previsione del Piano delle Aree furono alcune Regioni (Basilicata in testa) interessate a recuperare, seppur in minima parte ed in posizione di subalternità, il loro potere di decisione azzoppato dallo Sblocca Italia.
Fu quello il principale se non l'unico risultato ottenuto dai fautori della linea del dialogo con il Governo in luogo di quella dello scontro nelle aule dei tribunali. Ad un anno di distanza la risposta del Governo non si fece attendere: quello strumento, seppur imperfetto ma funzionale allo stop momentaneo delle richieste di istanze, fu abrogato con la Legge di Stabilità 2016.

Cosa era subordinato all'approvazione del Piano delle Aree? Perché tanta attenzione da parte del Governo?

Il rilascio di nuovi titoli minerari. Le norme abrogate con la Legge di Stabilità 2016 prevedevano che nelle more dell'adozione del Piano i titoli abilitativi potessero essere rilasciati unicamente sulla base delle norme vigenti prima del 1 gennaio 2015.
L'abrogazione della obbligatorietà del Piano delle Aree era condizione necessaria per lo sviluppo di nuovi progetti nell'Oil&Gas. Il Governo ha pensò bene di andare in questa direzione, favorendo così chi ancora crede ed investe nello sviluppo delle energie fossili nel nostro Paese.

Cosa fece il Governo con la Legge di Stabilità 2016?

Avendo fiutato il pericolo di trovare un ostacolo nell'ostruzionismo delle Regioni nell'approvazione del Piano e, quindi, di non poter rilasciare nuovi titoli, sciolse il nodo referendario "a monte": anziché modificare la normativa ripristinando il rispetto del principio di leale collaborazione, abrogò la previsione del Piano in modo da impedire stabilmente alle Regioni di interferire nella individuazione delle aree del territorio nazionale da interdire alle attività estrattive.
Inoltre, essendo venuta meno la previsione del Piano, rimosse uno dei principali impedimenti al rilascio di nuovi titoli.

Quali erano i limiti della normativa sul Piano delle Aree (comma 554 art 1 Legge di Stabilità 2015) ora abrogata, che oggi è possibile superare?

La debolezza dei meccanismi di partecipazione delle Regioni alle decisioni riguardanti la formulazione del Piano riguardante -ecco un secondo limite- unicamente le attività sulla terraferma. In caso di mancato raggiungimento dell'Intesa, era previsto che dovesse cessare qualsiasi confronto tra Stato e Regioni e che l'ultima parola spettasse comunque al Governo.

Cosa si vuole ottenere con la proposta di modifica all’art. 38 d.l. 12 settembre 2014, n. 133?

Reintrodurre il Piano delle Aree, superando al contempo i limiti della “vecchia” normativa. Conferire maggiori poteri alle Regioni nella definizione del Piano e, quindi, nella individuazione delle aree, sia su terraferma sia in mare anche oltre il limite delle 12 miglia, da sottrarre alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di gas e petrolio.
E’ inaccettabile e grave che una Regione non possa partecipare, in posizione di parità rispetto allo Stato, alla determinazione di scelte che necessariamente interferiscono con le politiche energetiche, di governo del territorio e di tutela dell’ambiente che la interessano ed investono direttamente.
Scopo della proposta è quello di consentire che la Conferenza unificata si esprima sul Piano nella sua interezza (terraferma e mare) e, per altro verso, di evitare che, in caso di mancato raggiungimento dell’Intesa, il Governo possa far ricorso all’esercizio del potere sostitutivo.
Ove fosse accolta, infine, la proposta farebbe sì che fino all’adozione del Piano non potrebbero essere rilasciati nuovi titoli.

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