Nei mari italiani operano circa 100 piattaforme, a gas e petrolio, del cui impatto ambientale non si ha alcuna stima, misurazione o controllo. Tra queste quelle di proprietà della Ionica Gas, operanti a largo di Crotone.
Per questo motivo ho interrogato il Ministro dell'ambiente, a cui ho anche inoltrato una nuova richiesta di accesso agli atti dopo quella effettuata tempo fa da Greenpeace Italia, il quale ha ottenuto dal Ministero dell’Ambiente i piani di monitoraggio di 34 piattaforme di proprietà ENI sulle 135 operanti nei mari italiani.
Lo scorso 30 marzo, con una nota alle agenzie di stampa, l’Eni ha affermato: “Relativamente alle ‘100 piattaforme mancanti’, per le quali secondo Greenpeace non sarebbero stati forniti i piani di monitoraggio, ENI spiega che quelle di propria pertinenza, non emettono scarichi a mare, né effettuano re-iniezione di acque di produzione in giacimento, pertanto non ci sono piani di monitoraggio prescritti e nessun dato da fornire”.
Appare alquanto singolare che ad aver chiarito l’assenza di controlli non sia stato il Ministero per l’Ambiente, seppur interrogato per settimane ma ENI, coinvolta nello scandalo sul petrolio in Basilicata.
Riguardo alla mancata necessità di controllare le piattaforme che non re-iniettano le acque di produzione, ricordo il caso di quei 500 mila metri cubi di acque di strato, di lavaggio e di sentina che sarebbero state iniettate illegalmente nel pozzo Vega 6, del campo oli Vega della Edison, al largo delle coste di Pozzallo.
I dati relativi a questo disastro ambientale verrebbero da un dossier di ISPRA, al centro di un procedimento penale della Procura di Ragusa. Gli inquirenti ipotizzano “gravi e reiterati attentati alla salubrità dell’ambiente e dell’ecosistema marino attuando, per pura finalità di contenimento dei costi e quindi di redditività aziendale, modalità criminali di smaltimento dei rifiuti e dei rifiuti pericolosi“. Secondo ISPRA la miscela smaltita illegalmente in mare contiene “metalli tossici, idrocarburi policiclici aromatici, composti organici aromatici e MTBE” e ha causato danni ambientali e inquinamento chimico. “La natura particolare delle matrici ambientali danneggiate”, secondo ISPRA, non potrà essere riportata “alle condizioni originali”.
Gli esiti della ricerca condotta da ISPRA su committenza di ENI per verificare la contaminazione ambientale in campioni di cozze raccolti intorno a 19 piattaforme offshore localizzate in Adriatico e di proprietà della stessa ENI, documentano la presenza nei mitili analizzati di metalli pesanti (mercurio, cadmio, piombo e arsenico), benzene e altri idrocarburi policiclici aromatici. In merito agli scandali sul petrolio in Basilicata di questi giorni, adesso si scopre che i dipendenti Eni scambiarono le cozze che servivano a monitorare la qualità degli scarichi in mare alterando così i dati sull’inquinamento delle acque.
Ritengo di una gravità inaudita che il nostro governo non abbia alcuna stima, monitoraggio o controllo dell'inquinamento provocato da oltre 100 piattaforme operanti a largo dei nostri mari. Praticamente il governo ci fornisce una ragione in più per votare con convinzione Si al referendum del 17 aprile!
Dopo gli scandali di trivellopoli in Basilicata, attraverso cui si è scoperto che le scorie estrattive venivano illecitamente smaltite in Calabria, un'altra bomba ad orologeria sta per esplodere. Il Pd si scopre sempre più come il partito del petrolio ed il rischio oggettivo è che la Calabria, come il resto dello stivale, sia sull'orlo di una vero e proprio disastro ambientale. Si corra subito ai ripari attraverso la democrazia. Il voto del 17 aprile è fondamentale per iniziare a cambiare la politica energetica nel nostro Paese.
Per questo motivo ho interrogato il Ministro dell'ambiente, a cui ho anche inoltrato una nuova richiesta di accesso agli atti dopo quella effettuata tempo fa da Greenpeace Italia, il quale ha ottenuto dal Ministero dell’Ambiente i piani di monitoraggio di 34 piattaforme di proprietà ENI sulle 135 operanti nei mari italiani.
Lo scorso 30 marzo, con una nota alle agenzie di stampa, l’Eni ha affermato: “Relativamente alle ‘100 piattaforme mancanti’, per le quali secondo Greenpeace non sarebbero stati forniti i piani di monitoraggio, ENI spiega che quelle di propria pertinenza, non emettono scarichi a mare, né effettuano re-iniezione di acque di produzione in giacimento, pertanto non ci sono piani di monitoraggio prescritti e nessun dato da fornire”.
Appare alquanto singolare che ad aver chiarito l’assenza di controlli non sia stato il Ministero per l’Ambiente, seppur interrogato per settimane ma ENI, coinvolta nello scandalo sul petrolio in Basilicata.
Riguardo alla mancata necessità di controllare le piattaforme che non re-iniettano le acque di produzione, ricordo il caso di quei 500 mila metri cubi di acque di strato, di lavaggio e di sentina che sarebbero state iniettate illegalmente nel pozzo Vega 6, del campo oli Vega della Edison, al largo delle coste di Pozzallo.
I dati relativi a questo disastro ambientale verrebbero da un dossier di ISPRA, al centro di un procedimento penale della Procura di Ragusa. Gli inquirenti ipotizzano “gravi e reiterati attentati alla salubrità dell’ambiente e dell’ecosistema marino attuando, per pura finalità di contenimento dei costi e quindi di redditività aziendale, modalità criminali di smaltimento dei rifiuti e dei rifiuti pericolosi“. Secondo ISPRA la miscela smaltita illegalmente in mare contiene “metalli tossici, idrocarburi policiclici aromatici, composti organici aromatici e MTBE” e ha causato danni ambientali e inquinamento chimico. “La natura particolare delle matrici ambientali danneggiate”, secondo ISPRA, non potrà essere riportata “alle condizioni originali”.
Gli esiti della ricerca condotta da ISPRA su committenza di ENI per verificare la contaminazione ambientale in campioni di cozze raccolti intorno a 19 piattaforme offshore localizzate in Adriatico e di proprietà della stessa ENI, documentano la presenza nei mitili analizzati di metalli pesanti (mercurio, cadmio, piombo e arsenico), benzene e altri idrocarburi policiclici aromatici. In merito agli scandali sul petrolio in Basilicata di questi giorni, adesso si scopre che i dipendenti Eni scambiarono le cozze che servivano a monitorare la qualità degli scarichi in mare alterando così i dati sull’inquinamento delle acque.
Ritengo di una gravità inaudita che il nostro governo non abbia alcuna stima, monitoraggio o controllo dell'inquinamento provocato da oltre 100 piattaforme operanti a largo dei nostri mari. Praticamente il governo ci fornisce una ragione in più per votare con convinzione Si al referendum del 17 aprile!
Dopo gli scandali di trivellopoli in Basilicata, attraverso cui si è scoperto che le scorie estrattive venivano illecitamente smaltite in Calabria, un'altra bomba ad orologeria sta per esplodere. Il Pd si scopre sempre più come il partito del petrolio ed il rischio oggettivo è che la Calabria, come il resto dello stivale, sia sull'orlo di una vero e proprio disastro ambientale. Si corra subito ai ripari attraverso la democrazia. Il voto del 17 aprile è fondamentale per iniziare a cambiare la politica energetica nel nostro Paese.
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