Il nostro ordinamento non ha mai attuato in modo organico la finalità costituzionale del razionale sfruttamento del suolo (art. 44 Cost.) che oggi più che mai deve intendersi una risorsa sempre più scarsa, con pesanti ripercussioni sull’economia agricola e turistica.
Il suolo non è solo un elemento produttivo ma anche il cardine della nozione di paesaggio (art. 9, II° comma, Cost.) che, come ha affermato la giurisprudenza costituzionale, “non dev’essere limitato al significato di bellezza naturale, ma va inteso come complesso dei valori inerenti al territorio” (Corte Cost., 7 novembre 1994, n. 379) e conseguentemente come bene “primario” ed “assoluto” (Corte Cost., 5 maggio 2006, nn. 182 e 183) necessitante di una tutela unitaria e supportata pure da competenze regionali, sempre nell’ambito di standard stabiliti a livello statale (Corte Cost., 22 luglio 2004, n. 259).
Nel recente “Rapporto sul benessere urbano” redatto dall’Istat nel 2013 si legge nel capitolo “Il diritto alla bellezza” (pag. 195) “Mentre la tutela dei centri storici e la protezione delle aree naturali sono principi consolidati nel quadro normativo e sedimentati ormai da tempo, la salvaguardia dei paesaggi rurali non si è ancora affermata nella legislazione e neanche nell’opinione pubblica”.
E’ dunque evidente che la legislazione italiana versa, ancora, in una situazione di profondo ritardo rispetto all’attuazione del dettato costituzionale, con gravi ripercussioni sullo stato del paesaggio e del mercato edilizio. Da un lato la gravissima crisi della finanza locale sta portando ad una drastica riduzione del welfare urbano con la prospettiva di una ulteriore arretramento delle condizioni di vita delle popolazioni già colpite da sei anni di crisi economica e finanziaria. Già oggi i comuni italiani non hanno più le risorse sufficienti per garantire l’erogazione dei servizi essenziali da cui dipende la vita quotidiana della popolazione: si chiudono servizi; si riduce l’assistenza sociale; a Napoli, caso emblematico passato troppo in fretta sotto silenzio, il 30 gennaio 2013 non si è garantito il servizio di trasporto pubblico per la mancanza di combustibile con cui far circolare gli autobus municipali.
Sul fronte del paesaggio agricolo e delle aree aperte in generale, stiamo rischiando di cancellare paesaggi storici che hanno formato il vanto della cultura italiana del territorio. A differenza degli altri paesi europei, i nostri comuni non riescono a controllare il processo di diffusione urbana e abbiamo il paesaggio agricolo più disordinato e compromesso. Peraltro, gran parte delle nuove proposte di realizzazione di grandi trasformazioni urbanistiche che connotano la vita della regioni italiane, basti pensare a Mediapolis di Ivrea o alle cinque nuove città tematiche del Veneto, vengono localizzate in area agricola: ulteriori compromissioni di migliaia di ettari di territorio sacrificati per uno “sviluppo” speculativo, una delle cause della crisi economica che stiamo vivendo.
Il disordine insediativo e l’abbandono del territorio agricolo sono anche elemento di gravi conseguenze sullo sviluppo del paese e sulla stessa vita dei suoi abitanti. Dissesto idrogeologo, esondazioni e frane non sono infatti fenomeni “naturali”, sono invece le conseguenze della mancanza di governo del territorio. Si legge ad esempio nel “Primo rapporto Ance – Cresme sullo stato del territorio italiano (2012)” che (pag. 25): “Per avere un’idea della dimensione del problema, si pensi solo che a partire dall’inizio del secolo gli eventi di dissesto idrogeologico gravi sono stati 4.000 che hanno provocato ingenti danni a persone, case e infrastrutture, ma soprattutto hanno provocato circa 12.600 morti, dispersi o feriti e il numero degli sfollati supera i 700 mila“. Un costo umano ed economico che il sistema Italia non si può più permettere: la tutela del paesaggio agrario è dunque un’emergenza assoluta.
Infine, sul versante del mercato edilizio assistiamo da cinque anni alla progressiva diminuzione dei valori immobiliari, in particolare nelle piccole e medie città e in generale nelle aree periferiche urbane. La stragrande maggioranza delle famiglie italiane si trova così a fare i conti non soltanto con la crisi economica e con la disoccupazione, ma per la prima volta vede il concreto rischio di una forte perdita di ricchezza a causa del crollo dei valori immobiliari in atto. I risparmi di una vita sembrano dunque messi a rischio e ciò provoca un diffuso e pericoloso senso di insicurezza sociale.
Di fronte a questi tre fenomeni, procede senza soste il processo di ulteriore crescita delle città. Nel 2012 il Politecnico di Milano, a seguito di una specifica ricerca, evidenziava come città di grandi dimensioni come Brescia o Bergamo sulla base dei permessi di costruzione già rilasciati, si troveranno ad avere rispettivamente 107 mila e 135 mila alloggi vuoti inutilizzati. Una quantità edilizia insostenibile, in grado di ospitare un numero di abitanti uguale se non superiore a quello già oggi residente! Giacomo Vaciago sul Sole 24 Ore del 16 febbraio 2012 poneva invece l’attenzione sulle enormi previsioni edificatorie esistenti nei piani regolatori comunali ideati e approvati negli anni in cui si era convinti di un processo di crescita infinita. Nelle mutate condizioni in cui siamo dentro una crisi economica da cui nessuno è in grado di prevedere l’esito e di fronte alla forte riduzione in atto dei valori immobiliari stiamo costruendo un imponente patrimonio immobiliare che provocherà inevitabilmente un’ulteriore caduta dei valori delle case e per ciò stesso dei redditi della stragrande maggioranza della popolazione italiana.
Sulla base dei dati del censimento Istat 2011, a fronte di circa 25 milioni di nuclei familiari, esistono circa 29 milioni di alloggi. Questi numeri vanno maneggiati con cura, come è noto: la loro distribuzione geografica non è infatti omogenea e possono ancora esistere aree in cui sussistono segmenti di fabbisogni abitativi. Ma tutti gli analisti dei processi territoriali concordano che siamo in presenza di un eccesso di offerta, come è evidente dall’esteso numero di alloggi invenduti e dal gigantesco processo di abbandono di manufatti per uffici o per le attività produttive. Se il numero delle abitazioni e degli edifici dismessi crescesse ancora, saremmo di fronte ad una situazione di assoluta gravità che, come nella recente esperienza spagnola, rischia di far crollare ulteriormente i valori immobiliari di gran parte delle famiglie italiane.
Fermare il consumo di suolo; cancellare le gigantesche previsioni edificatorie dei piani urbanistici comunali è in tal senso l’unica responsabile risposta per tenere unita la coesione sociale. Insistere, come fanno ancora in molti, sulla sacralità dei diritti edificatori – inesistente, come noto, nella legislazione italiana – significa soltanto privilegiare gli interessi di pochi proprietari fondiari contro gli interessi del 75% dei piccoli proprietari del proprio alloggio.
Una situazione fuori controllo provocata da venti anni di deregulation, di condoni edilizi, di demolizione delle regole pubbliche di controllo delle trasformazioni urbane. Di concetti giuridicamente inesistenti, come i “diritti edificatori”, di strumenti di moltiplicazione del consumo di suolo come la compensazione urbanistica. Di deroghe urbanistiche e paesaggistiche ottenute con l’uso strumentale dell’accordo di programma. Se vogliamo salvare quanto resta del paesaggio italiano, le città e tutelare il bene casa degli italiani, dobbiamo voltare pagina e dobbiamo chiudere per sempre la fase di potenziale ulteriore espansione urbana. “Stop al consumo di suolo” è pertanto il principale obiettivo della legge: l’unica strada per salvare il paesaggio agrario e le città.
E’ noto che sul tema del contenimento del consumo di suolo ci sono stati nel recente periodo non soltanto autorevoli interventi di enti di ricerca pubblici come l’Ispra (2012 – 2013). Siamo d fronte a una diffusa presa di coscienza da parte dell’intero paese dimostrata da importanti ricerche e proposte svolte dal WWF insieme al FAI (2011 – 2013), da Legambiente, dall’Inu, da numerose facoltà universitarie, nonché da importanti associazioni ambientalistiche quali Salviamo il Paesaggio o Italia Nostra.
La proposta di legge si fa carico responsabilmente di questa tematica e stabilisce un duplice principio già presente in alcune leggi urbanistiche regionali: le nuove trasformazioni urbane devono essere collocate all’interno delle zone già urbanizzate e i nuovi impegni di suolo libero possono essere autorizzati soltanto se non sia altrimenti possibile collocarle attraverso la riutilizzazione degli immobili esistenti non utilizzati.
Per funzionare efficacemente, questa norma generale ha necessità che venga definito in maniera univoca il perimetro delle aree urbanizzate formato dai nuclei storici, dalle zone di consolidata e nuova espansione, dalle aree produttive e da quelle destinate a servizi. In tal senso i comuni dovranno effettuare la prime trazione delle zone urbane sottoponendole all’approvazione delle regioni. Al di fuori di questo perimetro si può svolgere soltanto attività agricola.
La proposta di legge compie in particolare un fondamentale passaggio culturale indispensabile se si vuole dare solennità al tema della salvaguardia del paesaggio agricolo. E’ infatti noto che esso, pur presentando diffuse compromissioni causate dall’abusivismo e in generale da una carente azione di governo del territorio da parte delle amministrazioni comunali, rappresenta una parte fondamentale del paesaggio italiano e, spesso, un elemento identitario della cultura del nostro paese.
Nel 1985 con l’approvazione della legge Galasso (n. 431) il legislatore operò una fondamentale innovazione della nozione di tutela estendendola anche ad alcune categorie di beni paesaggistici. Questo principio basilare di tutela del paesaggio italiano è stato come noto oggetto di successive conferme legislative fino all’approvazione del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Oggi, di fronte al concreto rischio della scomparsa di importanti porzioni di territorio agricolo ci siamo assunti la responsabilità di ampliare le categorie dei beni paesaggistici vincolati includendovi anche le aree agricole, nella convinzione che la tutela sia lo strumento fondamentale per ricostruire l’unitarietà del paesaggio e nel contempo il ruolo del governo pubblico del territorio previsto dalla Costituzione e troppe volte messo in discussione negli ultimi decenni.
La proposta di legge affronta poi la questione cruciale, in un momento di crisi come quello che il paese sta vivendo, dell’uso produttivo e sociale del patrimonio immobiliare pubblico. E’ noto che da venti anni è in atto un processo di vendita di importanti segmenti della proprietà collettiva. Provvedimenti che, seppur criticabili in linea di principio anche per il fatto che mancava – e ancora manca! – l’elenco dettagliato delle numerose esposizioni di bilancio passivo per le locazioni di immobili privati esse potrebbero trovare collocazione in edifici di proprietà con un importante risparmio economico, poteva avere una sua spiegazione all’interno della fase espansiva dell’economia.
Oggi lo scenario è cambiato radicalmente e ciò ha due oggettive conseguenze. Una delle questioni principali che deve affrontare il nostro paese è la mancanza di lavoro giovanile. Eppure i nostri giovani presentano tassi di scolarizzazione elevati e attitudine all’imprenditorialità spiccata ma frustrata dagli elevatissimi valori locativi degli immobili. Le proprietà pubbliche devono dunque diventare il volano virtuoso da assegnare ai giovani imprenditori in cui poter sperimentare la capacità di innovazione e creare impresa. Resta inoltre da ricordare che seppure in presenza di un gran numero di alloggi invenduti, resta alta nei grandi centri metropolitani la questione abitativa perché molte famiglie non hanno la capacità di spesa sufficiente. Anche in questo caso, le proprietà pubbliche dovranno diventare il prezioso strumento per risolvere il diritto all’abitare di tutti i cittadini.
Del resto, è noto che i valori economici di vendita sono sempre più modesti e l’eventuale vendita non farà recuperare neppure i passivi di locazione che si continuano a pagare in ogni parte d’Italia. Senza pensare alle malversazioni e agli sprechi di denaro pubblico che si sono verificati in modo diffuso nel ventennio della svendita. Si può infatti ricordare la vendita delle caserme di Foggia dove il privato acquirente ha guadagnato in un sol colpo 3 milioni di euro rivendendo lo stesso immobile all’Università locale. O allo scandalo della sede del Ministero dell’economia dell’Eur dove sono stati abbandonati al degrado gli edifici di proprietà per tentare una speculazione edilizia e dove – dopo 6 anni! – lo Stato paga enormi canoni di affitto alla proprietà fondiaria privata pur avendo a disposizione grandi contenitori, comprese le stesse torri dismesse, per ospitare le attività istituzionali.
La proposta di legge prevede che prima di procedere a qualsiasi vendita si debbano effettuare quattro adempimenti: il censimento, da parte dei comuni, degli immobili sfitti situati all’interno del proprio territorio; il censimento delle proprietà pubbliche; il censimento di tutte le esposizioni verso le proprietà private per lo svolgimento delle attività istituzionali; la verifica, effettuata attraverso rigorose forme di pubblicità, delle esigenze di spazi lavorativi da parte di giovani imprenditori e abitativi per le famiglie in stato di disagio abitativo.
Ulteriore tema affrontato dalla legge riguarda il finanziamento da parte dello Stato dei processi di rinnovo e riqualificazione urbana. E’ noto che negli ultimi anni si è affermato il concetto de “non ci sono i soldi”. Problema serio e reale per gli elevati processi di indebitamento della pubblica amministrazione. Problema mal posto se si pensa che il “Piano città” è stato finanziato per 2 miliardi di euro a fronte dello stanziamento di oltre 100 miliardi per le grandi opere, come noto spesso inutili a delineare una prospettiva di sviluppo. Per uscire dalla crisi occorre investire in una serie estesa di “piccole opere” che, considerate nei loro aspetti sistemici, potrebbero portare benefici ben maggiori. Si tratta insomma di mutare l’agenda dei finanziamenti e rilanciare gli interventi di riqualificazione urbana.
All’articolo 1 la legge precisa i suoi obiettivi, e cioè la tutela dell’uso dei suoli agricoli come previsto dall’articolo 44 della nostra Costituzione e il contenimento del suo uso a fini insediativi o di trasformazione territoriale.
L’articolo 2 reca le definizioni di “aree agricole”, “aree a vocazione ambientale”, “consumo di suolo” e “aree urbanizzate”, con l’obiettivo di dare un quadro giuridico meno incerto ed approssimativo di una materia delicata come il governo del territorio.
L’articolo 3 obbliga i comuni ad individuare in modi univoco le aree di uso agricolo. Li obbliga in altri termini a tracciare una rigorosa suddivisione tra le aree urbanizzate e le aree che appartengono all’uso agricolo e alla conservazione della natura. Una volta tracciata entro 180 giorni questa delimitazione e trasmessa alla regione di appartenenza e al Ministero dell’Ambiente, tutti i nuovi impegni di suolo dovranno avvenire all’interno del perimetro della città edificata, lasciando all’uso produttivo agricolo tutte le restanti aree.
L’articolo 4 restituisce al paesaggio agrario la dignità di elemento costitutivo dell’identità culturale dell’Italia. Esso diviene conseguentemente una categoria di beni vincolati ai sensi dell’art. 142, comma 1, del d.lgs 22 gennaio 2004, n. 42.
All’articolo 5 la legge risolve un tema di grande delicatezza giuridica, quello dei diritti edificatori. Insieme alla perimetrazione dell’edificato, infatti, i comuni dovranno obbligatoriamente e riportare tutte i diritti edificatori fino ad allora maturati sul proprio territorio. Come è ampiamente noto, nella legislazione urbanistica italiana si intende per “diritto edificatorio” quanto maturato fino alla emissione del provvedimento abilitativo, lasciando tutte le previsioni edificatorie contenute nei piani urbanistici alla legittima potestà comunale di cancellarle sulla base di rigorose e imparziali motivazioni. Esistono a questo riguardo fondamentali sentenze come ad esempio quella del Consiglio di stato n. 6656/2012. La motivazione che è alla base della cancellazione delle previsioni edificatorie contenute nei piani urbanistici è quella che dicevamo fin dall’inizio: non si può continuare a inflazionare la costruzione di residenze se non vogliamo mettere a repentaglio i valori immobiliari ancora esistenti, ancorché fortemente decurtati rispetto a cinque anni fa.
All’articolo 6 affronta la possibilità di recuperare alcune delle previsioni urbanistiche contenute negli strumenti vigenti sospesi dalla procedura prevista dall’articolo 2. I comuni in questo caso dovranno però dimostrare con dati ufficiali e organici l’entità dei fabbisogni abitativi o produttivi da realizzare e dimostrare altresì sulla base della ricognizione esaustiva del numero degli immobili dismessi o abbandonati esistenti all’interno del territorio comunale, che non è possibile soddisfare tali esigenze all’interno del perimetro dell’area edificata come stabilita dall’articolo 2 o negli immobili abbandonati.
L’articolo 7 affronta un tema decisivo, poiché da alcuni anni con la legge 244 del 24 dicembre 2007, i proventi ricavati con i proventi dei titoli abilitativi potevano essere utilizzati non soltanto per la realizzazione di opere di urbanizzazione ma anche per la spesa corrente. Tale provvedimento legislativo è stato una delle cause della cementificazione del nostro paese e va conseguentemente abrogato. Anzi, questo divieto alla scorciatoia e alla deroga fa parte di un più generale disegno di ripristino della legalità di cui si sente fortemente l’esigenza.
Altro elemento decisivo per riportare la legalità e la trasparenza nei processi di trasformazione urbana è affrontato all’articolo 8. In esso si pone un limita all’uso derogatorio che in questi anni si è affermato dell’accordo di programma previsto dall’articolo 34 del D.lgs 18 agosto 2000 n. 267 e all’insieme degli strumenti di negoziazione territoriale. La legge impone che il ricorso all’uso dell’accordo di programma possa avvenire soltanto se esista conformità urbanistica con gli strumenti di piano paesaggistico e urbanistico vigenti. Basta, insomma, con la cultura delle varianti puntuali che hanno devastato le città e i territori italiani.
Gli articoli dal 9 all’11 affrontano la questione della conoscenza sistematica dello stato del patrimonio edilizio inutilizzato; di quello pubblico e di quello utilizzato in locazione dalle pubbliche amministrazioni che è causa come noto di forte indebitamento per lo Stato.
IL’articolo 13 affronta una questione di grande delicatezza sociale. Il patrimonio immobiliare pubblico deve diventare il volano per facilitare al ripresa economica e produttiva del paese affidandolo ad usi economici a favore di imprese, in particolare giovanili. Inoltre, di fronte al dramma dell’assenza di alloggi sociali per le classi sfavorite, per le giovani coppie e per gli anziani, l’articolo impone che il riuso del patrimonio pubblico sia finalizzato prioritariamente alla soddisfazione dei gravi disagi abitativi. Soltanto dopo questa fase pubblicistica, da effettuarsi mediante le più ampie forme di pubblicizzazione, lo Stato potrà procedere alla vendita degli immobili non utilizzabili a questo fine.
L’articolo 14 torna sul tema delle politiche di sostegno alle attività agricole, come noto oggi in gravi difficoltà economiche e, in particolare, con l’articolo 15 si cancella l’obbligo le pagamento dell’IMU per gli immobili strumentali al funzionamento delle attività agricole.
Gli ultimi due articoli, sono infine destinati alla precisazione delle disposizioni di carattere finanziario e sanzionatorio (art. 16) e delle disposizioni transitorie e finali (art. 17).
Colleghi deputati, con questa legge ci proponiamo di salvare il paesaggio italiano da un’ulteriore fase di devastazione urbanistica e di contribuire alla ripresa economica del paese utilizzando in modo intelligente il grande patrimonio immobiliare pubblico. Soltanto così si potrà aprire una nuova prospettiva per il paese e per le giovani generazioni.
PROPOSTA DI LEGGE
ART. 1.
(Tutela e contenimento del consumo del suolo).
La presente legge detta principi fondamentali per il razionale sfruttamento del suolo nonché per la conservazione e la valorizzazione dei terreni agricoli, al fine di promuovere l’attività agricola e forestale – necessaria anche nel contenimento del dissesto del territorio – riconoscendole un ruolo fondamentale per il perseguimento di un rapporto equilibrato tra sviluppo delle aree urbanizzate e aree rurali, al fine di azzerare il consumo di suolo libero, nonché per la tutela del paesaggio, in attuazione dell’articolo 9, secondo comma, dell’articolo 44 della Costituzione e della Convenzione Europea del Paesaggio del 20 ottobre 2000, ratificata dall’Italia con la legge 9 gennaio 2006, n. 14.
Le politiche di sviluppo territoriale nazionali e regionali perseguono la tutela e la valorizzazione della funzione agricola attraverso l’azzeramento del consumo di suolo e l’utilizzo agroforestale dei suoli agricoli abbandonati, privilegiando gli interventi di riutilizzo e di recupero di aree urbanizzate.
ART. 2
(Definizioni)
1. Ai fini della presente legge, si intende:
per «aree agricole»: tutte le superfici interessate dalla presenza di suoli produttivi o comunque vegetati, coltivati, incolti o forestali, libere da edificazioni e infrastrutture allo stato di fatto;
per «aree a vocazione ambientale»: tutte le superfici boschive o forestali nonché tutte le aree sottoposte a vincolo di carattere ambientale, idrogeologico, forestale e paesaggistico tutelate ai sensi del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, del r.d.lgs. 30 dicembre 1923, n. 3267 e della legge 16 giugno 1927, n. 1766 e loro successive modifiche e integrazioni.
per «consumo di suolo»: la riduzione di superficie agricola e forestale, di aree agricole e a vocazione ambientale per effetto di scelte di pianificazione urbanistica nonché di interventi di impermeabilizzazione del suolo, urbanizzazione ed edificazione non connessi all’attività agricola;
per «aree urbanizzate»: tutte le aree individuate dagli strumenti urbanistici vigenti come zone territoriali omogenee di cui alle lettere A), B), D) e F) del comma 1 dell’articolo 2 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, nelle quali il rapporto tra superficie impermeabilizzata e superficie totale sia superiore al 50 per cento.
ART. 3
(Perimetrazione del territorio agricolo e naturale)
Entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i comuni redigono la perimetrazione del territorio comunale suddividendolo in tre categorie: le aree urbanizzate, le aree agricole e le aree a vocazione ambientale.
Entro 90 giorni dalla ricezione degli elaborati di cui al comma 1, le regioni o le province nonché le province autonome di Trento e Bolzano, sulla base delle leggi regionali vigenti, predispongono la mappatura del territorio di propria competenza e la inviano al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Entro 90 giorni dalla ricezione delle mappature, Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare approva, con proprio decreto, il Quadro nazionale dello stato del territorio, il cui contenuto è pubblicato sul portale cartografico nazionale del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Le trasformazioni urbanistiche dei territori comunali avvengono esclusivamente all’interno del perimetro delle aree urbanizzate.
ART. 4
(Modifiche al codice del paesaggio)
1. All’art. 142, comma 1, del d.lgs 22 gennaio 2004, n.42, è inserita la seguente lettera:
“n) il territorio non urbanizzato sia in condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale“.
2. All’art. 142 del d.lgs 22 gennaio 2004, n. 42 sono aggiunti i seguenti commi:
“5. Le regioni, d’intesa con la competente soprintendenza, individuano il territorio di cui al comma 1, lettera n)”.
“6. Fino all’intervenuta individuazione ai sensi del comma 5 il territorio di cui al comma 1, lettera n), coincide con l’insieme delle zone di cui alla lettera E) dell’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n.1444, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 16 aprile 1968, n.97, ovvero delle omologhe zone comunque denominate nelle leggi regionali, individuate e perimetrate negli strumenti di pianificazione vigenti”.
“7. Fino all’adeguamento delle leggi regionali ai principi fondamentali dettati dalla legislazione dello Stato in materia di governo del territorio con riferimento al territorio non urbanizzato, nonché fino all’entrata in vigore dei piani paesaggistici, ai sensi dell’articolo 156 ovvero ai sensi dell’articolo 135, e all’eventualmente necessario adeguamento degli strumenti urbanistici ai sensi dell’articolo 145, nel territorio di cui al comma 1, lettera n), è vietata ogni modificazione morfologica dell’assetto del territorio, nonché ogni nuova costruzione, o demolizione e ricostruzione, di edifici, eccezione fatta per quelle finalizzate alla difesa del suolo e alla riqualificazione ambientale”.
3. All’art. 143, comma 4, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, è inserita la seguente lettera:
“c) per il territorio di cui al precedente articolo 142, lett. n), il piano paesaggistico prevede obiettivi e strumenti per la conservazione e il restauro del paesaggio agrario e non urbanizzato“.
ART. 5
(Diritti edificatori)
I comuni, all’interno della perimetrazione di cui all’articolo 3, individuano anche le aree su cui sussiste un diritto edificatorio.
Ai sensi della normativa nazionale in materia, il diritto edificatorio si concretizza allorquando sia previsto da un titolo abilitativo non decaduto né annullato.
Le previsioni di espansione contenute all’interno degli strumenti urbanistici comunali sono indicazioni meramente programmatiche, che, sulla base di provvedimenti motivati e imparziali, possono subire modifiche o cancellazioni, attraverso la normale attività pianificatoria della pubblica amministrazione competente.
ART. 6
(Previsioni di nuove urbanizzazioni)
Le trasformazioni urbane avvengono all’interno del perimetro delle zone urbanizzate.
I comuni, sulla base di specifiche e effettive esigenze abitative o infrastrutturali e accertata l’assenza di alternative di riuso e riorganizzazione degli immobili e delle infrastrutture esistenti, possono prevedere nuove aree edificabili.
Le previsioni di cui al precedente comma devono essere giustificate sulla base di indicatori statistici relativi alla dinamiche demografiche, economiche ed occupazionali elaborati dall’Istat o da istituti di ricerca pubblici.
Le previsioni di nuove urbanizzazioni devono altresì essere giustificate dall’impossibilità di poter essere soddisfatte all’interno delle aree interstiziali urbane non edificate o in edifici esistenti inutilizzati così come individuati dal censimento previsto dall’articolo 9.
Le aree edificabili, individuate ai sensi del comma 1, sono soggette ad un contributo addizionale rispetto agli obblighi di pagamento connessi con gli oneri di urbanizzazione e con il costo di costruzione, la cui misura è stabilita dai comuni ai sensi delle leggi statali e regionali vigenti.
A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, il contributo di cui al comma 5 si applica in tutto il territorio nazionale con riferimento a ogni attività di trasformazione urbanistica ed edilizia che determina un nuovo consumo di suolo. Esso è pari a cinque volte il contributo relativo agli oneri di urbanizzazione ed al costo di costruzione.
Sono tenuti al pagamento del contributo di cui al comma 6 i soggetti tenuti al pagamento degli oneri relativi ai costi di urbanizzazione e al costo di costruzione, secondo le stesse modalità e gli stessi termini. I comuni destinano i proventi del contributo a un fondo vincolato destinato ai seguenti interventi:
non meno del 20 per cento alla bonifica dei suoli;
non meno del 20 per cento al recupero e riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico esistente, con priorità per gli interventi di messa in sicurezza e risanamento conservativo degli edifici scolastici;
non meno del 20 per cento ad interventi di riduzione del rischio idrogeologico, sia mediante interventi di riduzione della pericolosità, sia mediante interventi di rilocazione di edifici pubblici posti in aree ad elevato rischio;
non meno del 20 all’ acquisizione, realizzazione e manutenzione di aree verdi.
Gli interventi di cui al comma 7 sono esclusi dal vincolo del patto di stabilità interno.
ART. 7
(Finalizzazione degli introiti derivanti dai provvedimenti abilitativi)
I comuni destinano obbligatoriamente i proventi dei titoli abilitativi edilizi e del contributo addizionale di cui all’articolo 4, comma 7, nonché delle sanzioni di cui al d.p.r. n. 380 del 2001, alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici, a interventi di recupero e riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, anche ai fini della messa in sicurezza delle aree esposte a rischio idrogeologico e sismico, di acquisizione e realizzazione di aree verdi, di qualificazione dell’ambiente e del paesaggio.
Il comma 8 dell’articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 è abrogato.
ART. 8
(Ripristino delle regole ordinarie in materia urbanistica)
Qualora la definizione e l’esecuzione di interventi complessi, programmi di intervento, opere pubbliche o di interesso pubblico, anche di iniziativa privata, richiede l’azione integrata e coordinata di Comuni, Province, Regioni, amministrazioni dello Stato e altri enti pubblici, si procede alla stipula di accordo di programma secondo quanto disposto dall’articolo 34 del D.lgs 18 agosto 2000, n. 267.
Comuni, Province, Regioni, amministrazioni dello Stato e altri enti pubblici possono concludere accordi di programma per la realizzazione di proposte e iniziative di rilevante interesse pubblico di cui al comma 1 del presente articolo solo se conformi agli strumenti di tutela del paesaggio e di pianificazione urbanistica.
L’eventuale variazione della strumentazione urbanistica dovrà avvenire, nel rispetto di quanto stabilito dall’articolo 6 della presente legge, attraverso i procedimenti ordinari di variante urbanistica previsti dalle legislazioni regionali.
Gli strumenti di concertazione, negoziazione e semplificazione amministrativa, compresi gli accordi di programma di cui all’articolo 34 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, e la conferenza dei servizi di cui agli artt. 14 e ss della l. 241 del 1990, non possono avere effetto derogatorio rispetto ai regolamenti e agli strumenti urbanistici adottati o approvati secondo la normativa vigente, ad eccezione degli interventi per la realizzazione di infrastrutture e urbanizzazioni pubbliche da realizzarsi su aree di proprietà pubblica.
ART. 9
(Censimento degli immobili inutilizzati all’interno del territorio comunale)
Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i comuni elaborano ed approvano il “Censimento degli edifici sfitti, non utilizzati o abbandonati” esistenti sul proprio territorio, quantificandone caratteristiche e dimensioni.
Ad ogni immobile è allegato il certificato catastale e l’indicazione della destinazione d’uso dell’immobile medesimo, al fine di creare una banca dati del patrimonio disponibile.
La Regione o la provincia competente verificano che le previsioni urbanistiche che impegnano nuove aree edificabili ai sensi dell’articolo 6 non possano essere soddisfatte con gli immobili individuati dal Censimento di cui al presente articolo.
ART. 10
(Censimento delle proprietà pubbliche)
Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i comuni, le province, le regioni, le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici di cui all’art. 1, comma 2, l. 196 del 2009 e ss.mm.ii, e le Università agrarie a qualsiasi titolo proprietari di immobili redigono e inviano al Ministero dell’economia e delle finanze il censimento delle proprietà pubbliche, ivi compresi i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
Ad ogni immobile è allegato il certificato catastale e l’indicazione dell’uso dell’immobile medesimo, con specifica distinzione tra proprietà utilizzate per fini istituzionali e proprietà cedute in locazione o inutilizzate.
Per gli immobili ceduti in locazione dovrà essere specificato il titolare del contratto di locazione e le caratteristiche economiche del contratto medesimo.
ART. 11
(Censimento degli immobili privati utilizzati dalle amministrazioni pubbliche)
Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i comuni, le province, e regioni, le amministrazioni dello Stato, le Università agrarie redigono e inviano al ministero dell’economia e delle finanze l’elenco delle proprietà immobiliari private con contratto di locazione passivo.
Ad ogni immobile è allegato il certificato catastale e l’indicazione dell’uso dell’immobile medesimo.
Per ogni immobile sono specificate le caratteristiche economiche del contratto medesimo.
ART. 12
(Vendita del patrimonio immobiliare pubblico)
Le informazioni raccolte in attuazione degli articoli 8 e 9 sono inserite in una banca dati pubblica e consultabile attraverso il sito internet del ministero dell’economia e delle finanze.
E’ vietata l’alienazione di immobili di cui all’articolo 8, prima che sia concluso il censimento di cui al comma 1.
Il Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con le amministrazioni interessate, redige per ogni amministrazione interessata da affitti passivi un piano di rientro basato sulla piena utilizzazione degli immobili di proprietà pubblica di cui all’articolo 8.
ART. 13
(Uso sociale del patrimonio immobiliare pubblico)
I comuni e le amministrazioni a vario titolo proprietarie di immobili non utilizzabili a fini istituzionali redigono il piano di utilizzazione dei medesimi immobili destinandoli, sulla base delle loro caratteristiche, ad usi produttivi a favore di nuove imprese giovanili, ad associazioni o, in presenza di gravi disagi abitativi, alla soluzione dei fabbisogni residenziali.
Le amministrazioni devono comunicare in modo efficace e presentare alla popolazione la disponibilità di immobili e il piano di utilizzazione approntato.
Dopo due anni dalla prima pubblicizzazione del piano di utilizzazione, il Ministro per dell’economia e delle finanze, sentite le amministrazioni interessate, redige un piano di vendita per gli immobili pubblici non interessati all’uso per i fini istituzionali o per gli usi previsti dal comma 1.
ART. 14
(Tutela del territorio non urbanizzato)
Le leggi regionali assicurano che sul territorio non urbanizzato gli strumenti di pianificazione non consentano nuove costruzioni, né consistenti ampliamenti, di edifici, se non strettamente funzionali all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, nel rispetto di precisi parametri rapportati alla qualità e all’estensione delle colture praticate e alla capacità produttiva prevista, come comprovate da piani di sviluppo aziendali o interaziendali, ovvero da piani equipollenti previsti dalla normativa vigente.
Le leggi regionali stabiliscono che le trasformazioni di cui al comma 1 siano assentite previa sottoscrizione di apposite convenzioni nelle quali sia prevista la costituzione di un vincolo di inedificabilità, da trascrivere sui registri della proprietà immobiliare, fino a concorrenza della superficie fondiaria per la quale viene assentita la trasformazione e a non frazionare né alienare separatamente i fondi per la parte corrispondente all’estensione richiesta per la trasformazione ammessa, nonché l’impegno a non operare mutamenti dell’uso degli edifici, o delle loro parti, attivando utilizzazioni non funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali.
Le leggi regionali disciplinano altresì le trasformazioni ammissibili dei manufatti edilizi esistenti con utilizzazioni in atto non strettamente funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali, limitandole a quelle di manutenzione, di restauro e risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia con esclusione di qualsiasi fattispecie di demolizione e ricostruzione.
Le leggi regionali e gli strumenti di pianificazione possono disporre ulteriori limitazioni, fino alla totale intrasformabilità, in relazione a condizioni di fragilità del territorio, ovvero per finalità di tutela del paesaggio, dell’ambiente, dell’ecosistema, dei beni culturali e dell’interesse storico-artistico, storico-architettonico, storico-testimoniale, del patrimonio edilizio esistente.
ART. 15
(Esenzione dal pagamento dell’Imposta municipale)
I terreni destinati ad uso agricolo e i manufatti che svolgono funzioni strumentali delle aziende agricole sono esenti dal pagamento dell’Imposta municipale.
Sono soggetti al pagamento dell’Imu i terreni improduttivi e i manufatti di uso agricolo inutilizzati.
ART. 16
(Disposizioni di carattere finanziario e sanzionatorio)
Il Ministro dell’economia e delle finanze sospende l’erogazione delle risorse del Fondo di solidarietà comunale di cui al comma 380, articolo 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 nei confronti dei comuni inadempienti rispetto alle disposizioni di cui all’art. 3, c. 1, all’articolo 4, c. 1 e all’art. 5, c. 1.
Il Ministro dell’economia e delle finanze sospende l’erogazione delle risorse di cui al D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 56 nei confronti delle regioni inadempienti rispetto alle disposizioni di cui all’art. 3, c. 2, all’articolo 4, c. 2 e all’art. 5, c. 2.
Dall’attuazione della presente legge non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le Amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti nella presente legge con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili.
ART. 17
(Disposizioni transitorie e finali)
A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino all’adozione del decreto di cui all’articolo 3, comma 3, non è consentito il consumo delle aree agricole e delle aree a vocazione ambientale tranne che per la realizzazione di interventi previsti dagli strumenti urbanistici vigenti e provvisti di titolo abilitativo edilizio non decaduto alla data di entrata in vigore della presente legge.
Le regioni a statuto ordinario possono individuare ulteriori aree, rispetto a quelle indicate al comma 1, per le quali è vietato il consumo di suolo.
Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano adeguano la propria legislazione alle disposizioni del presente articolo, secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione.
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