Condizioni di lavoro umilianti e delocalizzazioni selvagge. I dipendenti dei call center che ieri hanno manifestano per le vie di Roma hanno tutti i motivi per farsi sentire, e i nostri colleghi MoVimento 5 Stelle della Commissione Lavoro sono andati in piazza ad ascoltarli.
Io stesso ho vissuto un'esperienza lavorativa in un call center (PHONEMEDIA). Una struttura che si è tenuta in piedi per anni grazie alle agevolazioni fiscali e fondi europei di cui ha approfittato per frodare non solo lo Stato, ma anche noi poveri lavoratori che a seguito della chiusura dell'azienda, aspettiamo ancora di ricevere il TFR e gli stipendi arretrati!
Ho diversi amici e coetanei che lavorano nel call center, spesso con contratti rinnovati di mese in mese e vincolati esclusivamente alle prestazioni. Una situazione di IPERPRECARIATO, che non è più sostenibile. L'asta delle commesse al ribasso si ripercuote inevitabilmente sui lavoratori, che spesso sono costretti ad accettare condizioni di lavoro ai limiti della legalità. Mentre i lavoratori soffrono, le grandi aziende continuano a sfruttare le competenze di ragazzi che con la laurea in tasca non riescono a trovare altro. La mia città, Catanzaro, è stata definita la "Bangalore d'Italia" per l'altissimo numero di call center presenti. Il trentenne catanzarese medio non ha alternative: accettare il contratto a provvigione nel call center (spesso gestito da affaristi della politica) oppure scappare altrove, nella speranza di trovare il lavoro che soddisfi anni di studio.
Il Call Center non è solo un posto di lavoro molto precario, malpagato e iniquo, è spesso il luogo dove si infrangono i sogni di una vita normale per migliaia di ragazzi.
E poi c'è il problema delle delocalizzazioni, che andrebbe affrontato anche in sede europea nell'ottica della piaga del dumping sociale.
Sulle delocalizzazione il M5S nel frattempo ha ottenuto un' importante vittoria in Parlamento, infatti da ora in poi, le imprese che scappano e delocalizzano all'estero devono ridare i soldi allo Stato!
Invece per abbassare i costi, per esempio quelli logistici dell'affitto dei locali, si potrebbe incentivare il telelavoro che offrirebbe condizioni migliori anche a molti degli 80mila dipendenti, spesso ridotti in condizioni di semi-schiavitù.
Il Parlamento deve ascoltare il grido di dolore dei tanti, perlopiù giovani, che ieri hanno sfilato per le vie di Roma. Il M5S è da sempre, nitidamente, schierato contro il precariato selvaggio e contro ogni forma di sfruttamento che umilia la dignità del lavoro.
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Ho diversi amici e coetanei che lavorano nel call center, spesso con contratti rinnovati di mese in mese e vincolati esclusivamente alle prestazioni. Una situazione di IPERPRECARIATO, che non è più sostenibile. L'asta delle commesse al ribasso si ripercuote inevitabilmente sui lavoratori, che spesso sono costretti ad accettare condizioni di lavoro ai limiti della legalità. Mentre i lavoratori soffrono, le grandi aziende continuano a sfruttare le competenze di ragazzi che con la laurea in tasca non riescono a trovare altro. La mia città, Catanzaro, è stata definita la "Bangalore d'Italia" per l'altissimo numero di call center presenti. Il trentenne catanzarese medio non ha alternative: accettare il contratto a provvigione nel call center (spesso gestito da affaristi della politica) oppure scappare altrove, nella speranza di trovare il lavoro che soddisfi anni di studio.
Il Call Center non è solo un posto di lavoro molto precario, malpagato e iniquo, è spesso il luogo dove si infrangono i sogni di una vita normale per migliaia di ragazzi.
E poi c'è il problema delle delocalizzazioni, che andrebbe affrontato anche in sede europea nell'ottica della piaga del dumping sociale.
Sulle delocalizzazione il M5S nel frattempo ha ottenuto un' importante vittoria in Parlamento, infatti da ora in poi, le imprese che scappano e delocalizzano all'estero devono ridare i soldi allo Stato!
Invece per abbassare i costi, per esempio quelli logistici dell'affitto dei locali, si potrebbe incentivare il telelavoro che offrirebbe condizioni migliori anche a molti degli 80mila dipendenti, spesso ridotti in condizioni di semi-schiavitù.
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