Il MoVimento Cinque Stelle, ieri, ha toccato con mano una delle realtà più
sconosciute della città di Catanzaro: le carceri. Ieri, io e l'attivista Anna Macrì, come concordato, ci siamo recati nel
carcere di Siano.
La visita è partita dal laboratorio per lavorare il legno; il prof. Rotella, insegnante al Conservatorio, ci ha ampiamente e con estrema soddisfazione, spiegato il lavoro creato con un gruppo di detenuti: con macchinari reperiti attraverso il volontariato, i detenuti stanno costruendo strumenti musicali della tradizione calabrese, con il fine di allestire, presto, una mostra degli stessi. Questo recupero della tradizione musicale calabrese ci ha colpito molto. Ovviamente, le attrezzature sono di fortuna, trovate grazie all’impegno dei volontari e degli stessi operatori del carcere, cosa che ci ha fatto riflettere su quanti macchinari inutilizzati giacciono in fondo a cantine, essendo oramai, l’artigianato, un mestiere in estinzione; da qui, come è solito ragionare il MoVimento, la volontà di attivare meccanismi costruttivi per dar loro una mano a reperirli; addirittura potremmo mobilitarci per recuperare il legno inutilizzato, ad esempio da falegnamerie o aziende del legno. Pensate che non costerebbe nulla regalare gli scarti del legno affinché vengano utilizzati per creare delle vere opere d’arte. Noi le abbiamo viste e, in verità, sono davvero pregevoli, non solo gli strumenti ma anche oggetti come i portagioie o i modellini di veliero. La Paravati ha anche parlato di un corso di ceramica, di corsi di scrittura creativa, della volontà di portare avanti tanti progetti, come l’”orto penitenziario”, corsi di recitazione. La nostra disponibilità, ovviamente, è stata totale, perfettamente in linea con la filosofia del movimento. Durante il percorso, le progettualità sono state tante e diverse: si è discusso di ristrutturazione dell’Istituto penitenziario, fatiscente ed esposto alla dispersione energetica e, dunque, molto costoso da mantenere, considerando la reticenza delle Istituzioni nell’erogare dei finanziamenti adeguati per una radicale rifacimento ( il consumo di gasolio, durante la stagione invernale, produce una spesa di circa 10 mila euro a settimana, con una gran dispersione del calore stesso); dell’installazione di pannelli fotovoltaici, per ottimizzare i costi e usufruire di energia pulita; della realizzazione dell’orto penitenziario, un’attività che permetterebbe ai detenuti di tenersi occupati e faciliterebbe il recupero degli stessi; un progetto per la raccolta differenziata, vista la mole di rifiuti, specie plastica, che il carcere produce; del recupero dei materiali per la riconversione e riparazione (mobili usati, vecchi oggetti, pc, ecc.); un progetto per rendere l’acqua potabile, anche con l’installazione di fontanelle all’interno dell’Istituto; di sburocratizzare e potenziare le attività lavorative, il "lavoro terapeutico" all'esterno del carcere per lavori di pulizia del verde pubblico, spiagge, potature alberi,ecc., che avrebbe una doppia finalità, porterebbe la comunità a toccare con mano la realtà sensibile dei detenuti e aiuterebbe il processo di reinserimento per gli stessi; potenziare le ore di attività sociali e ricreative (attualmente fanno solo 2 ore a settimana) e lavorare a progetti come attività teatrali o corsi di scrittura, e tanto altro.
Tutto questo, mentre sfilavano davanti a noi le celle della sezione Alta Sicurezza, dove vengono detenuti gli ergastolani ostativi, i terroristi (BR), i mafiosi (41bis) ma anche i detenuti per reati minori ma sempre per mafia. Celle piccolissime, almeno per noi “liberi”, abitate, a volte, anche da due persone. La maggior parte di loro si affaccia alle sbarre, saluta cordiale, chi prepara un dolce, chi legge, chi mangia (è l’ora del pranzo), chi ci sorride, chi ci chiede di far due chiacchiere, chi ci mostra i suoi quadri, bellissimi, a tinte forti, quasi avessero una percezione più potente del giallo, del blu, del rosso, tra quelle pareti anonime e sbiadite dal tempo. Tutto, mentre ti guardano con una profonda, dignitosa e orgogliosa tristezza. Solo i terroristi ci ignorano, ovviamente, qualcuno accenna un saluto distratto; gli altri, però, sono avidi di parole, ricercano il contatto, quel bisogno antropologico dell’uomo solo e privo di libertà di regalarti un pezzettino della sua vita e prenderne un po’ della tua. Così, ci siamo ritrovati a guardare foto di figli, nipoti, mogli, madri, spesso lontani; qualcuno ci racconta felice di aver avuto il permesso di conoscere il nipotino e rivedere la figlia dopo 5 anni, permesso che lo porterà per un giorno fuori da queste mura che sentiamo strette anche noi, pregne di tanta sofferenza e solitudine, di tanta miseria umana e altezze inimmaginabili. Perché in questo non luogo della vita, vi sono persone che durante la loro lunga detenzione, parliamo di 25/30 anni, hanno studiato, scritto, conseguito lauree, con ottimi risultati. Ci ritroviamo a parlare con persone di grande cultura, persino sceneggiatori per grandi registi, e poi scrittori, avvocati, gente che è entrata giovanissima in carcere, manovalanza della Mafia, e si è redenta attraverso la conoscenza. Attraverso sbarre azzurrine, tocchiamo le loro mani, guardiamo i loro occhi profondi, sorridiamo ai loro sorrisi mesti, ascoltiamo le loro parole. Ci chiedono informazioni, ci parlano di politica, scherzano con la Direttrice, della quale hanno un’ottima considerazione, la maggior parte alza il tiro sul carcere ostativo, senza fine pena, uno status oramai umanamente insopportabile, paragonabile, se si pensa che condanna alla morte nel carcere, alla tortura. Prendiamo impegno, su tutto, per tutto, dal semplice aiuto di vestiario e altre necessità, ai progetti già descritti, alla volontà di tornare tra loro.
Siamo intenzionati a far emergere questa realtà così sensibile e difficile, i dati parlano chiaro, c’è la volontà di sensibilizzare la comunità, affinché si sfati il mito di una incomunicabilità tra cittadino e detenuto, abbiamo il desiderio di attuare i propositi comuni. Oggi abbiamo visto uomini, dietro le sbarre per giusta pena ma pur sempre uomini. E’ a loro che dobbiamo il nostro contributo,la nostra solidarietà, la nostra pietà, come movimento e come comunità, perché nessuno di noi è veramente al sicuro “dalla caduta”, nessuno tanto “puro” da poter giudicare"
La visita è partita dal laboratorio per lavorare il legno; il prof. Rotella, insegnante al Conservatorio, ci ha ampiamente e con estrema soddisfazione, spiegato il lavoro creato con un gruppo di detenuti: con macchinari reperiti attraverso il volontariato, i detenuti stanno costruendo strumenti musicali della tradizione calabrese, con il fine di allestire, presto, una mostra degli stessi. Questo recupero della tradizione musicale calabrese ci ha colpito molto. Ovviamente, le attrezzature sono di fortuna, trovate grazie all’impegno dei volontari e degli stessi operatori del carcere, cosa che ci ha fatto riflettere su quanti macchinari inutilizzati giacciono in fondo a cantine, essendo oramai, l’artigianato, un mestiere in estinzione; da qui, come è solito ragionare il MoVimento, la volontà di attivare meccanismi costruttivi per dar loro una mano a reperirli; addirittura potremmo mobilitarci per recuperare il legno inutilizzato, ad esempio da falegnamerie o aziende del legno. Pensate che non costerebbe nulla regalare gli scarti del legno affinché vengano utilizzati per creare delle vere opere d’arte. Noi le abbiamo viste e, in verità, sono davvero pregevoli, non solo gli strumenti ma anche oggetti come i portagioie o i modellini di veliero. La Paravati ha anche parlato di un corso di ceramica, di corsi di scrittura creativa, della volontà di portare avanti tanti progetti, come l’”orto penitenziario”, corsi di recitazione. La nostra disponibilità, ovviamente, è stata totale, perfettamente in linea con la filosofia del movimento. Durante il percorso, le progettualità sono state tante e diverse: si è discusso di ristrutturazione dell’Istituto penitenziario, fatiscente ed esposto alla dispersione energetica e, dunque, molto costoso da mantenere, considerando la reticenza delle Istituzioni nell’erogare dei finanziamenti adeguati per una radicale rifacimento ( il consumo di gasolio, durante la stagione invernale, produce una spesa di circa 10 mila euro a settimana, con una gran dispersione del calore stesso); dell’installazione di pannelli fotovoltaici, per ottimizzare i costi e usufruire di energia pulita; della realizzazione dell’orto penitenziario, un’attività che permetterebbe ai detenuti di tenersi occupati e faciliterebbe il recupero degli stessi; un progetto per la raccolta differenziata, vista la mole di rifiuti, specie plastica, che il carcere produce; del recupero dei materiali per la riconversione e riparazione (mobili usati, vecchi oggetti, pc, ecc.); un progetto per rendere l’acqua potabile, anche con l’installazione di fontanelle all’interno dell’Istituto; di sburocratizzare e potenziare le attività lavorative, il "lavoro terapeutico" all'esterno del carcere per lavori di pulizia del verde pubblico, spiagge, potature alberi,ecc., che avrebbe una doppia finalità, porterebbe la comunità a toccare con mano la realtà sensibile dei detenuti e aiuterebbe il processo di reinserimento per gli stessi; potenziare le ore di attività sociali e ricreative (attualmente fanno solo 2 ore a settimana) e lavorare a progetti come attività teatrali o corsi di scrittura, e tanto altro.
Tutto questo, mentre sfilavano davanti a noi le celle della sezione Alta Sicurezza, dove vengono detenuti gli ergastolani ostativi, i terroristi (BR), i mafiosi (41bis) ma anche i detenuti per reati minori ma sempre per mafia. Celle piccolissime, almeno per noi “liberi”, abitate, a volte, anche da due persone. La maggior parte di loro si affaccia alle sbarre, saluta cordiale, chi prepara un dolce, chi legge, chi mangia (è l’ora del pranzo), chi ci sorride, chi ci chiede di far due chiacchiere, chi ci mostra i suoi quadri, bellissimi, a tinte forti, quasi avessero una percezione più potente del giallo, del blu, del rosso, tra quelle pareti anonime e sbiadite dal tempo. Tutto, mentre ti guardano con una profonda, dignitosa e orgogliosa tristezza. Solo i terroristi ci ignorano, ovviamente, qualcuno accenna un saluto distratto; gli altri, però, sono avidi di parole, ricercano il contatto, quel bisogno antropologico dell’uomo solo e privo di libertà di regalarti un pezzettino della sua vita e prenderne un po’ della tua. Così, ci siamo ritrovati a guardare foto di figli, nipoti, mogli, madri, spesso lontani; qualcuno ci racconta felice di aver avuto il permesso di conoscere il nipotino e rivedere la figlia dopo 5 anni, permesso che lo porterà per un giorno fuori da queste mura che sentiamo strette anche noi, pregne di tanta sofferenza e solitudine, di tanta miseria umana e altezze inimmaginabili. Perché in questo non luogo della vita, vi sono persone che durante la loro lunga detenzione, parliamo di 25/30 anni, hanno studiato, scritto, conseguito lauree, con ottimi risultati. Ci ritroviamo a parlare con persone di grande cultura, persino sceneggiatori per grandi registi, e poi scrittori, avvocati, gente che è entrata giovanissima in carcere, manovalanza della Mafia, e si è redenta attraverso la conoscenza. Attraverso sbarre azzurrine, tocchiamo le loro mani, guardiamo i loro occhi profondi, sorridiamo ai loro sorrisi mesti, ascoltiamo le loro parole. Ci chiedono informazioni, ci parlano di politica, scherzano con la Direttrice, della quale hanno un’ottima considerazione, la maggior parte alza il tiro sul carcere ostativo, senza fine pena, uno status oramai umanamente insopportabile, paragonabile, se si pensa che condanna alla morte nel carcere, alla tortura. Prendiamo impegno, su tutto, per tutto, dal semplice aiuto di vestiario e altre necessità, ai progetti già descritti, alla volontà di tornare tra loro.
Siamo intenzionati a far emergere questa realtà così sensibile e difficile, i dati parlano chiaro, c’è la volontà di sensibilizzare la comunità, affinché si sfati il mito di una incomunicabilità tra cittadino e detenuto, abbiamo il desiderio di attuare i propositi comuni. Oggi abbiamo visto uomini, dietro le sbarre per giusta pena ma pur sempre uomini. E’ a loro che dobbiamo il nostro contributo,la nostra solidarietà, la nostra pietà, come movimento e come comunità, perché nessuno di noi è veramente al sicuro “dalla caduta”, nessuno tanto “puro” da poter giudicare"
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